sabato 10 settembre 2011

Keystone, ultima chiamata per Obama


Da Repubblica, articolo tratto dal blog 2050 di Valerio Gualerzi

Gli ambientalisti americani si preparano a dare vita a quella che si annuncia come la più grande mobilitazione degli ultimi anni. L’obiettivo è quello di far desistere l’amministrazione Obama dal progetto di costruzione di Keystone XL, un lungo oleodotto destinato a trasportare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada (700mila barili al giorno) sino alle raffinerie del Texas. 

Per richiamare l’attenzione del presidente sui danni ambientali e la miopia strategica di una simile iniziativa, gli attivisti confluiranno oggi davanti al prato della Casa Bianca. Saranno inevitabilmente arrestati, ma l’idea dei promotori della campagna è di portare ogni giorno un centinaio di manifestanti così da tenere alta più a lungo possibile l’attenzione sulla vicenda. “In tema di cambiamenti climatici questa è la decisione più importante che il presidente dovrà prendere prima della fine del mandato”, spiega alla Reuters Bill McKibben, uno dei leader della protesta. “Questa volta – aggiunge – il Congresso non c’entra, dipende solo a lui e per questo siamo fiduciosi che cambi idea”.


L’opposizione verso l’oleodotto nasce da due diverse valutazioni. La prima è sull’enorme impatto ambientale che un’infrastruttura di tale grandezza (per altro a costante rischio di perdite e guasti) avrà sul territorio. La seconda riguarda il petrolio estratto da sabbie bituminose, una fonte energetica che per essere estratta ha pesantissimi costi ambientali e una ricaduta in termine di emissioni climalteranti molto più pesante dello stesso greggio tradizionale. Insistere sulla strada dell’approvvigionamento petrolifero ad ogni costo significa poi inevitabilmente tagliare le gambe a qualsiasi alternativa più sostenibile, a cominciare dall’auto elettrica.

Per Obama la scelta si annuncia difficile. Andare avanti con il progetto, dopo le tante delusioni già inflitte agli ambientalisti, significa probabilmente alienarsi definitivamente il loro voto in vista dell’auspicata rielezione. Fermare tutto vorrebbe dire però rinunciare a un gigantesco cantiere in grado di creare migliaia di posti di lavoro e anche questo non favorirebbe di certo la sua conferma alla Casa Bianca.

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