venerdì 19 febbraio 2010

Eco:Drive - La guida sostenibile fa bene all'ambiente e al portafoglio

Come risparmiare carburante, diminuendo le emissioni di CO2 e riducendo i costi? Tramite Eco:Drive, un sotware ideato da FIAT che permette di migliorare le proprie prestazioni di guida. Adesso disponibile anche per le flotte aziendali.

Un articolo di Giulia Novajra, Greenews.info.
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Eco Drive Fleet: la guida sostenibile fa bene all’azienda

Mercoledì 17 febbraio è stato presentato ufficialmente, nella splendida cornice dell’Agenzia di Pollenzo, in provincia di Cuneo, Eco Drive Fleet: il nuovo software Fiat che, a partire dal 26 marzo, aiuterà le aziende a gestire la propria flotta di auto in modo economico e sostenibile.

Eco Drive, progetto su cui poggia il nuovo sistema Fleet, nasce infatti circa un anno fa con lo scopo di risolvere il fenomeno del green for free per cui i consumatori, pur desiderando un’automobile rispettosa dell’ambiente, non sempre sono disposti a spendere cifre più elevate.

Per le nuove auto, Fiat ha quindi scelto di affiancare ai miglioramenti tecnici anche un’applicazione che incentivi gli automobilisti a correggere il proprio stile di guida in senso eco-friendly, senza troppo sforzo e in modo totalmente gratuito. Come? Basta inserire una chiavetta USB nell’apposita porta e mettere in moto l’auto. Una volta terminato il tragitto, è il software Eco Drive (disponibile gratuitamente on line) a elaborare i dati, stilare una pagella e suggerire alcuni trucchi da pilota per poter migliorare le proprie prestazioni in base ad accelerazioni, decelerazioni, cambi e velocità.

Ad oggi, la prima versione di Eco Drive conta circa 100.000 utenti registrati, dei quali un terzo è già entrato a far parte di Ecoville: una community interattiva in cui i conducenti, animati da un sano spirito di competizione, si sfidano a ridurre l’impronta di carbonio delle loro auto e a migliorare il proprio punteggio Eco Index (indice di efficienza della guida).

Poiché a trarre vantaggio da questo sistema non è solo l’ambiente, ma anche il portafoglio, la casa automobilistica torinese ha pensato di fare un passo ulteriore e proporre alle aziende una versione evoluta del programma che permetta di monitorare costi e consumi di più vetture.

Con Eco Drive Fleet, le aziende potranno infatti mantenere costantemente sotto controllo l’efficienza dell’intera flotta o di singoli gruppi, oltre ad effettuare proiezioni sull’impatto dell’eventuale acquisto di nuove auto.

Il programma porterà ovviamente maggiore efficienza e risparmi significativi a patto che la sfida sia raccolta da tutti i dipendenti e che questi si impegnino seriamente nel migliorare le loro prestazioni al volante. A questo riguardo Fiat ha dunque offerto un ulteriore contributo, inserendo nel software il Fleet Challenge Leaderboard, una tabella che, in una vera e propria gara di sostenibilità, permette di visualizzare la classifica dei conducenti più virtuosi.

Dal momento che la gloria non sempre costituisce un incentivo sufficiente, sarebbe tuttavia consigliabile alle aziende di convertire almeno una parte del risparmio ottenuto in premi tangibili per i primi classificati. Provare per credere: alla “flotta” degli invitati alla presentazione è bastato infatti l’incentivo di qualche gadget (con la complicità di alcuni “eco-suggerimenti”) perché l’eco-index del secondo test drive crescesse del 22% rispetto al primo giro. L’impegno di tutti i partecipanti è stato infine premiato con una degustazione di vini nelle cantine della Banca del Vino e con una cena all’insegna della buona cucina a chilometri zero.

Tra simpatia e genuinità – stile al quale la “nuova” Fiat ci ha piacevolmente abituati da qualche anno - i giovani responsabili Eco Drive e Eco Drive Fleet hanno dato prova di aver lanciato un’iniziativa utile e divertente che, senza tanta retorica, strizza un occhio all’ambiente e uno al portafoglio.

Giulia Novajra

venerdì 12 febbraio 2010

USA: quanto costa ridurre le emissioni del 10%? Niente.

Quanto costa per gli Stati Uniti ridurre le emissioni per oltre il 10% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005? Niente. Questo e' il risultato sorprendente di uno studio della Bloomberg New Energy Finance, l'agenzia britannica da poco divenuta parte del gruppo Bloomberg Lp.

Lo studio analizza la Curva dei Costi Marginali di Abbattimento delle Emissioni di CO2 (in inglese Marginal Abatement Cost Curve, MAC). Per i non addetti ai lavori economici, questo grafico evidenzia quanto costa ridurre la CO2 rispetto a una serie di interventi e tecnologie. La CO2 e' espressa in percentuale di riduzioni.

Questo studio si basa sulla famosa curva dei costi marginali sviluppata dalla McKinsey, superandone alcuni limiti, tra cui la divisione per categorie di alcuni interventi (ad esempio, il solare fotovoltaico industriale e' piu' economico di quello per le famiglie; gli interventi di forestazione e management delle foreste sono di diverso tipo, etc). Inoltre c'e' un aggiornamento della stima di costo di produzione dell'energia e di alcune tecnologie. Interessante il costo dell'energia nucleare usato nel modello Bloomberg: ben $96/MWh.

Sulla sinistra del grafico, abbiamo quegli interventi che rappresentano un guadagno netto, in termini di risparmio: nel caso statunitense troviamo l'aumento di efficienza energetica nell'illuminazione, le smart grid, i veicoli ibridi, la geotermia. Con questi interventi arriviamo a una riduzione delle emissioni di circa il 7%, con guadagno economico per la societa'. Scorrendo verso destra, e aumentando la quantita' di emissioni da tagliare, i costi aumentano.

Confrontando le aree, vediamo come una riduzione delle emissioni di oltre il 10% al 2030 rispetto al 2005 comporti un sostanziale pareggio di guadagni e perdite.

Per arrivare al 17% entro il 2020, che rappresenta la riduzione di CO2 promessa da Obama a Copenhagen, la Bloomberg New Energy Finance pronostica una spesa di 1Euro al giorno per famiglia. Per stessa ammissione di Bloomberg NEF, comunque, questa ricerca e' basata su una stima conservatrice, per cui 1Euro al giorno e' una quantificazione per eccesso. E' probabile quindi che il costo sia in realta' inferiore a 1Euro al giorno per famiglia, nel caso che si presentino i seguenti eventi: una curva di apprendimento piu' veloce, cioe' una maggiore capacita' di utilizzo delle nuove tecnologie, innovazioni tecnologiche e un cambiamento degli stili di vita individuali potrebbero introdurre.

Speriamo che questo studio possa servire ad Obama per fare approvare la sua proposta sul clima.
Veronica Caciagli
Climate Change Officer
British Consulate General Milan

12 febbraio 2010 - M'Illumino di Meno!

Torna l'iniziativa di Caterpillar in occasione del compleanno del Protocollo di Kyoto, con il nuovo inno della Banda Osiris.

giovedì 11 febbraio 2010

12 febbraio 2010 - Conferenza Dopo Copenhagen

Venerdi' 12 febbraio Stephen Lowe, Primo Segretario dell'Ambasciata Britannica di Roma partecipera' alla conferenza organizzata dal Kyoto Club sulle prospettive aperte in tema di clima ed energia dopo Copenhagen.

Roma, Sala della Protomoteca (Campidoglio)
Venerdì 12 febbraio 2010, ore 9,30
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Comunicato stampa Kyoto Club

L’Accordo di Copenaghen, con il quale si é concluso nella capitale danese, lo scorso dicembre, il vertice delle Nazione Unite sui cambiamenti climatici, è stato il frutto di un’intesa politica promossa da alcuni Stati (tra i quali Stati Uniti, Brasile, India, Cina e Sudafrica). È stato riconosciuto dalla gran parte dei paesi con una decisione che letteralmente "prende nota" della sua esistenza, ma non lo adotta formalmente.

L'Accordo riconosce che l’aumento della temperatura media globale non dovrà superare i 2°C rispetto ai valori pre-industriali e può essere considerato un primo passo che dovrà essere poi trasformato in uno strumento legalmente vincolante in Messico nella prossima conferenza mondiale sul clima (Cancún, 29 novembre – 10 dicembre 2010). Sappiamo tuttavia che gli impegni dichiarati oggi dai paesi industrializzati ed emergenti al 2020 porterebbero ad una concentrazione di gas serra in atmosfera tale da provocare un aumento molto superiore ai 3 °C, con conseguenti notevoli danni ambientali ed economici per tutta la comunità mondiale.

Il convegno annuale del Kyoto Club, “Dopo Copenhagen. Le sfide energetiche e ambientali del 2020”, che si svolgerà a Roma il giorno 12 febbraio, presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio, ha l’obiettivo di analizzare i risultati di Copenhagen e capire quali sono i margini per un accordo legalmente vincolante a fine anno, grazie anche alla presenza di relatori che rappresentano alcuni dei paesi chiave nella trattativa quali Stati Uniti, Cina, e Regno Unito.

PROGRAMMA

09:30 - Inizio lavori

Presiede: Francesco Ferrante (Vice-Presidente Kyoto Club)
Fabio De Lillo (Assessore all'Ambiente - Comune di Roma)

9:45-10:30 - I risultati di Copenaghen

Sergio Castellari Senior Scientist CMCC e IPCC Focal Point Nazionale
Gianni Silvestrini (Direttore scientifico Kyoto Club)

pausa caffè

10:30-13:00 Le prospettive del post-Kyoto

Conduce: Antonio Cianciullo (Giornalista La Repubblica)

Chen Guoyou Primo Consigliere dell'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia

Stephen Lowe Primo Segretario dell'Ambasciata del Regno Unito in Italia

Jean Preston Consigliere per gli Affari Ambientali, Scientifici e Tecnologici dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia

venerdì 5 febbraio 2010

Com'e' finita? - Part V: Gli impegni dell'Accordo di Copenhagen, nella direzione giusta?*

61 Paesi, tra cui l'Europa e i suoi 27 Stati membri, Cina e Stati Uniti, hanno mantenuto la promessa di sottoporre i propri target di mitigazione delle emissioni a medio termine (2020), come previsto dall’Accordo di Copenhagen. Insieme, questi Paesi sono responsabili del 78% delle emissioni globali. Eccoli qua.

I Paesi Industrializzati: conferma delle offerte condizionate e una new entry

I Paesi industrializzati confermano gli impegni dichiarati a Copenhagen, come risultano ad oggi dal sito dell'UNFCCC ("Appendix I, Quantified economy-wide emissions targets for 2020").

L’Unione Europea conferma una riduzione del 20% al 2020, lasciando l’incremento al 30% come opzione in caso di un accordo piu’ ambizioso da concludere in seguito. La Norvegia va oltre, impegnandosi al taglio incondizionato dei gas serra del 30%, che potrebbe arrivare fino al 40% nell’ambito si un successivo protocollo internazionale. La Croazia, in vista della sua annessione all’Unione Europea, si pone un obiettivo temporaneo di riduzione delle emissioni del 5%, che sara’ rivisto in linea con lo sforzo di mitigazione europeo. La Russia offre un -15% incondizionato, soggetto ad aumento al -25% a condizione che i crediti derivanti dalle sue foreste possano contribuire a raggiungere l’obiettivo e che, naturalmente, cio’ avvenga nel quadro di un accordo tra i maggiori Paesi emittenti.

Dall’altro lato dell’oceano, Stati Uniti e Canada si allineano, promettendo una riduzione del 17% rispetto al 2005, ma soggetta ad approvazione della legge sulle emissioni di gas serra negli Stati Uniti. Visto che le emissioni statunitensi sono cresciute nel periodo 1990-2005, l’obiettivo corrisponde in realta’ a un meno 4% se riportato all’anno base 1990. Nonostante questo primo traguardo sia decisamente minore rispetto all’impegno europeo, gli Stati Uniti si dichiarano anche pronti a impegnarsi a una riduzione del 30% entro il 2025 (circa 15% rispetto al 1990), del 42% entro il 2030 (33% al 1990), fino ad arrivare al meno 83% al 2050 (-80%).

Il Giappone del nuovo primo Ministro Hotoyama conferma la propria disponibilita’ a una riduzione del 25% rispetto al 1990, ma nell’ambito di un trattato “equo ed efficace”. L’Australia nicchia, con un’offerta di riduzione minima del 5% rispetto al 2000, ma che potrebbe arrivare al 15% o anche al 25% (sempre rispetto al 2000) se ci sara’ un impegno reale a stabilizzare le emissioni a 450 ppm (450 parti per milione, limite considerato massimo dalla comunita’ scientifica per limitare le probabilita’ di un aumento della temperatura globale di piu’ di 2 gradi centigradi). La Nuova Zelanda “si prepara a prendere responsabilita’ dei target di riduzione tra il 10 e il 20%, se ci sara’ un accordo globale completo”, collocando il mondo su un percorso tale da limitare l’aumento della tempratura a non piu’ di 2 gradi, con una divisione equa e comparabile degli sforzi di riduzione; inoltre dovranno essere contabilizzati equamente i crediti da attivita’ di forestazione e cambio del suolo e si dovra’ far ricorso al mercato dei crediti di riduzione della CO2 per diminuire i costi globali di abbattimento dei gas serra.

Una new entry tra gli Stati con target di riduzione e’ il Kazakhstan: aveva gia’ chiesto e ottenuto di esssere compreso nella lista dei Paesi Annex I del Protocollo di Kyoto (ovvero dei Paesi Industrializzati con obblighi di riduzione delle emissioni). Adesso offre di contribuire allo sforzo mondiale, con una riduzione delle proprie emissioni incondizionata del 15% rispetto al 1992.

I Paesi Emergenti: azioni di mitigazione e alcune concessioni cinesi

I Paesi Emergenti confermano la propria disponibilita’ ad adottare delle misure interne di mitigazione delle emissioni, comunque nel rispetto dell principio di “responsabilita’ comune ma differenziata” della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Ricordano che l’aumento di concentrazione di CO2 nell’atmosfera e’ stato causato finora dai Paesi Industrializzati che, quindi, devono adesso dare un contributo maggiore alla lotta al global warming, anche in termini economici.

La Cina conferma l’impegno di ridurre la propria intensita’ energetica (rapporto tra emissioni di CO2 e PIL) del 40-45% entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005, che corrisponde in realta’ a una piccola variazione rispetto allo scenario “Business As Usual”. A questo obiettivo, gia’ dichiarato prima di Copenhagen, aggiunge pero’ due importanti novita’. In primis l’incremento della quota di energia da fonte non fossile al 15% entro il 2020 (energia primaria consumata): attualmente la percentuale e’ invece del 9% (fonte Reuters, April 2009). Inoltre, offre un aumento dell’area forestata di 40 milioni di ettari rispetto ai livelli del 2005, corrispondenti a un incremento della capacita’ di assorbimento delle foreste di circa 560 milioni di CO2/anno – una quantita’ maggiore delle emissioni annue italiane.

L’India, pur con un consistente piano sulle energie rinnovabili, offre un impegno piu’ modesto: ridurre l’intensita’ energetica del 20-25% entro il 2020 rispetto al 2005. Invece l’Indonesia risulta piu’ proattiva, con la proposta di un taglio del 26% rispetto allo scenario Business As Usual, da raggiungere attraverso le sette misure previste nel Piano Nazionale indonesiano: dall’energia rinnovabile a interventi di efficienza energetica e forestazione.

Il Brasile espone nella propria lettera all’UNFCCC una serie di azioni atte ad arrivare a una riduzione delle emissioni quantificate dal 36,1 al 38,9% entro il 2020 rispetto allo scenario ”Business as usual”, ovvero il livello di emissioni che il Brasile raggiungerebbe al 2020 senza politiche correttive. Il Messico ha recentemente adottato un Programma Speciale per il Cambiamento Climatico: mira a una riduzione del 30% delle emissioni rispetto allo scenario Business as usual, subordinato all’ottenimento di un supporto adeguato dai Paesi industrializzati. Inoltre, dichiara un impegno incondizionato di abbattimento di 51 milioni di tonnellate di CO2eq entro il 2012.

La lista completa delle azioni dei Paesi Emergenti comprende altri 20 Paesi ed e’ disponibile nel sito dell’UNFCCC (“Appendix II - Nationally appropriate mitigation actions of developing country Parties”), che rende pubbliche anche le dichiarazioni di associazione all’Accordo di Copenhagen.



... Ancora ne dovra’ essere fatta di strada per arrivare a un accordo vincolante capace di limitare l’aumento delle temperature mondiali ai 2 gradi centigradi. Ma siamo nella direzione giusta.
Veronica Caciagli
Climate Change Officer
British Consulate General Milan

*Articolo pubblicato su Greennews.info.

mercoledì 3 febbraio 2010

Una Finestra sulla Gran Bretagna #3: 15 Jan, VoxEU, "Two Good News from Copenhagen?"

Are the commitments from Copenhagen enough? The bad news is that the answer is “no”. This column examines the informal targets and the agreement to allocate funding to mitigate climate change. The good news is that this funding has the potential to at least reduce the gap between targets and reality.

Article written by Carlo Carraro and Emanuele Massetti*, published in VoxEU on 15 January 2010.
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Gli impegni proposti per l'Accordo di Copenhagen sono sufficienti? La brutta notizia e' che no, non sono sufficienti. Questo articolo esamina i target degli Stati e l'accordo sui finanziamenti per la mitigazione dei cambiamenti climatici. La buona notizia e' che i finanziamenti hanno il potenziale di ridurre la differenza tra obiettivi e realta'.

Articolo scritto da Carlo Carraro e Emanuele Massetti, pubblicato in VoxEU il 15 gennaio 2010.
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As many analysts predicted, the Copenhagen summit held in December 2009 did not achieve the lofty goals that were set for it years ago. It failed to produce a legally binding agreement to replace the Kyoto Protocol after 2012 (Stravins 2009, Doniger 2009). But it did make progress.
Indeed, a realistic assessment must admit that the outcome of the summit could have not been different. Hopes for a more ambitious result were not based on the reality on the ground. There are three insurmountable obstacles:

• First, the US could not sign a binding agreement, as the Senate had not passed the Boxer-Kerry Bill. That bill, coupled with the already approved American Clean Energy and Security Act (Waxman-Markey Bill), would have given President Obama the credibility to propose more ambitious steps.

• Second, the lack of commitment from fast-growing developing countries to reduce emissions – not necessarily immediately, more realistically after a “grace” period – meant that any attempts from developed countries to contain temperature increases to safe levels would have been in vain.

• Third, fast-growing developing countries are reluctant to take on any legally binding commitment, citing that their primary objective is to reduce poverty and to spread economic well-being to their poorest citizens. They also point out that responsibility for the high concentrations of greenhouse gases in the atmosphere today is only marginally attributable to their emissions. Hence, their refusal to sign any legally binding agreement when the major world economies are not ready to do so is largely understandable.

These are the basic ingredients of the so-called “climate deadlock” that prevented the signing of a real substitute to the Kyoto Protocol and pushed the climate summit in Copenhagen to “take note” of a more modest Copenhagen Accord on the morning of Saturday, 19 December.

Effectiveness and consistency of the Copenhagen Accord

Nevertheless, our research analyses two important outcomes from Copenhagen.

• First, an informal, but politically relevant, declaration of national emissions reduction targets for 2020.

• Secondly, the definition of the resources that will be transferred to developing countries for mitigation and adaptation actions.

Considering the first outcome: Are the domestic abatement plans announced in Copenhagen sufficient to significantly reduce global GHG emissions and to keep the temperature increase below the proposed 2°C target?

Answering this question requires both information on the targets agreed in Copenhagen and on the set of reference pathways of greenhouse gas emissions necessary to limit global warming. By comparing these two, we can test the effectiveness of the Copenhagen commitments on controlling climate change.

It is actually quite straight-forward to assess short-term trajectories of emissions compatible with temperature targets around 2°C. As we discussed in a previous Vox column, the stock of greenhouse gases in the atmosphere – which ultimately governs global mean temperature – is already very close to a threshold beyond which it will be extremely difficult to contain global warming below 2°C (Carraro and Massetti 2009). What is required is that emissions peak in the next decade and then decline steadily to become zero, or even negative thanks to enhanced absorption capacity, as shown by the scenarios developed by the International Panel on Climate Change.

What is the effect of the announced Copenhagen targets on global greenhouse gas emissions in 2020?

Table 1 summarises our information on the emissions targets that major countries have announced in Copenhagen. The lack of consensus among the parties is clear from the absence of abatement targets for each country. Despite this, leaders of major world economies did announce their emissions targets in a purposely informal, but public, session on 18 December 2009. While still informal, the commitments announced at Copenhagen are very informative on future climate policies.

We have gathered the national targets from records of the 18 December session of the United Nations Framework Convention on Climate Change and from a variety of other sources. We have homogenised them to reflect changes of emissions with respect to 1990.

Instead of announcing emissions targets with respect to a specific base year, some countries have taken a more flexible approach by proposing to reduce emissions below the level that they are expected to achieve if climate policy would not be implemented. Such a scenario without any policy to curb emissions is often called the “business-as-usual” scenario.

Business-as-usual emissions scenarios produced by economy-energy-climate integrated assessment models (IAM) – a workhorse for all economists that study optimal mitigation policies – are a good indicator of plausible short-term emissions trajectories. Here, we use the business-as-usual scenario of the Hybrid IAM WITCH developed at Fondazione Eni Enrico Mattei to derive emissions levels for these countries (see www.witchmodel.org for a description).
China and India, meanwhile, announced intensity targets. They have pledged to reduce the carbon intensity – the ratio between carbon emissions and GDP – of their economies by 45% and 20%–25%, respectively. But both these targets appear to be non-binding because both China and India are expected to achieve them as the consequence of autonomous efficiency improvements triggered by long-term price and technology dynamics more than by any specific policy. For example, the WITCH model, without any specific target on carbon intensity of output, already shows autonomous carbon intensity reductions of 53% for China and 42% for India with respect to 2005 (see Carraro and Tavoni 2010). This finding is supported by the World Energy Outlook 2009.

The results are clear:

• As a group, the Copenhagen commitments for the biggest emitters, if confirmed, would imply a 28% increase of emissions above the 1990 level.

• Compared with the business-as-usual scenario for those countries, emissions would be reduced by 21%.

• Assuming that the rest of the world continues on a business-as-usual path, global emissions would increase to about 48 gigatons of carbon dioxide equivalent (GT CO2-eq) by 2020. This represents a 29% increase with respect to 1990, a 5% increase with respect to 2005 and a 16% reduction with respect to business-as-usual.

Table 1. The Copenhagen emissions reductions commitment

Are the promised emissions reductions sufficient to control global warming?

The scientific consensus states that severe climate change cannot be avoided unless we limit the earth’s average temperature rise to something like 2.0-2.4 °C. Specifically, the goal is to keep average temperature to no more than 2.0-2.4 °C above the pre-industrial level by 2100.

The stabilisation scenarios presented in the Fourth Assessment Report of the International Panel on Climate Change show that this will require emissions of CO2 to:

a) peak before 2015
b) decrease by roughly 5-10% starting from 2020
c) then decline steadily.

If instead emissions peak right before 2020, the temperature rise will be of 2.4-2.8 °C (IPCC 2007).

The Copenhagen declarations are clearly insufficient to control global warming below 2°C – even if they are substantial when compared with the business-as-usual scenario. What at first glanced seemed like good news – the emission-reduction declarations – turns out to be bad news. The declarations are inconsistent with the 2°C temperature target, even though the target is reiterated in the Copenhagen Accord itself (see Carraro and Massetti 2009).

Financial adequacy of the Copenhagen Accord

What about the second piece of seemingly good news – the funding for developing nations as well as the improved access to technologies that should enable and support action on mitigation and adaptation?

The commitment contained in the Copenhagen Accord is to set up a fast track fund that will consist of $10 billion per year from 2010 to 2012 (totalling $30 billion). If there is sufficient and transparent action towards mitigation, developed countries have committed to mobilise, jointly, $100 billion dollars a year by 2020. A significant portion of such funding will flow through a newly established Copenhagen Green Climate Fund.

Recent research with an enhanced version of the WITCH model – designed to quantify the optimal time profile of investments in adaptation and in mitigation – clearly shows that it is optimal to invest immediately in mitigation actions, while delaying most investments in adaptation to the future (Bosello, Carroro and Cian 2009). The reason is that it is imperative to control greenhouse gas emissions as soon as possible to attain low-temperature targets, meanwhile the short-term climate change impacts are still moderate and adaptation measures can be put in place relatively fast in the future.

We therefore model that the financial resources mobilised in Copenhagen will be used to mitigate greenhouse gas emissions, at least from 2011 until 2020. We also assume that these emissions reductions will be additional to those already announced, including the Clean Development Mechanisms.

Are these resources sufficient to fund the investments which are necessary to close the gap between the announced emissions reductions and the optimal trajectories towards a safe greenhouse gas concentrations stabilisation pathway?

Estimated impact

Our estimates show that, by directing about 60% of the Copenhagen Green Climate Fund to financing low-cost abatement actions in developing countries, global emissions could peak in 2020, as shown in Table 2.

Increasing the allocation of the Green Climate Fund will continue to reduce emissions far below a business-as-usual level. The transformation of the CGCF into a full mitigation fund would allow to reduce emissions by 3% with respect to 2005. It would limit to 18% the increase with respect to 1990 and it would reduce emissions by 22% with respect to business-as-usual (see Figure 1).
With smooth rapid mitigation action, it is therefore possible to have the peak of emissions around 2015, but in order to achieve the required emissions reductions in 2020 (10% below 2005), additional funding would be needed.

Table 2. The mitigation potential of the Copenhagen Green Climate Fund
Figure 1. Historical and business as usual (BaU) scenario greenhouse gas emissions (GHG), Copenhagen Commitment and the role of the Copenhagen Green Climate Fund (CGCF) for mitigation.

Conclusion

The mitigation targets coming out of Copenhagen are expected to have a substantial impact on global emissions . But they are insufficient to curb emissions below 2005 levels by 2020 – a necessary condition for containing global warming within safe levels.

It us thus necessary to invest in the development of low carbon technologies (and their diffusion) and energy efficiency, in avoiding deforestation, and in carbon capture and storage technology, etc. If all the Copenhagen Green Climate Fund is used to finance cheap, additional mitigation actions in developing countries, this would cause emissions to peak before 2020. With steady emission cuts in the following decades, it would be possible to limit temperature increase to about 2.5°C, above the 2°C threshold but well below the temperature level that would be achieved without strong mitigation action.

This seems to be the only good news from Copenhagen. Future negotiations rounds should devote great attention on how to shape the Copenhagen Green Climate Fund.

References

Bosello, Francesco, Carlo Carraro and Enrica De Cian (2009), “An Analysis of Adaptation as a Response to Climate Change”, University of Venice, Working Papers of the Department of Economics, No. 2 6 /WP/2009, September.
Carraro, Carlo and Emanuele Massetti (2009), “The improbable 2°C target”, VoxEU.org, 3 September.
Carraro, Carlo and Massimo Tavoni (2010), “Looking ahead from Copenhagen: How Challenging is the Chinese carbon intensity target?” VoxEU.org, 5 January.
Doniger, David (2009), “The Copenhagen Accord: A Big Step Forward”, NRDC Climate Center, 21 December.
IPCC, Chapter 3 Table 3.10 (2007) “Climate Change 2007: Mitigation. Contribution of Working Group III to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change” Bert Metz, Ogunlade Davidson, Peter Bosch, Rutu Dave, Leo Meyer, Cambridge University Press.
Stavins, Robert (2009), “What Hath Copenhagen Wrought? A Preliminary Assessment of the Copenhagen Accord”, Harvard Belfer Center for Science and International Affairs, 20 December.

This article may be reproduced with appropriate attribution.

*Carlo Carraro is Professor of Environmental Economics and Econometrics, University of Venice and CEPR Research Fellow: Emanuele Massetti is Senior Researcher at the Sustainable Development Unit, Fondazione Eni Enrico Mattei.

martedì 2 febbraio 2010

Com'e' finita? - Part IV: Gli impegni espressi dai Paesi Industrializzati

55 Paesi - tra cui l'Europa e i suoi 27 Stati membri, Cina e Stati Uniti - hanno rispettato l'impegno di sottoporre i propri target di mitigazione delle emissioni a medio termine (2020). Insieme sono responsabili del 78% delle emissioni globali.

Ecco gli impegni dei Paesi industrializzati come risultano ad oggi dal sito dell'UNFCCC ("Appendix I, Quantified economy-wide emissions targets for 2020"): Australia, Canada, Croazia, Unione Europea, Giappone, Kazakistan, Nuova Zelanda, Norvegia, Russia e Stati Uniti.
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Australia: -5% up to -15% or -25% (base year 2000)

Australia will reduce its greenhouse gas emissions by 25% on 2000 levels by 2020 if the world agrees to an ambitious global deal capable of stabilising levels of greenhouse gases in the atmosphere at 450 ppm CO2-eq or lower. Australia will unconditionally reduce our emissions by 5% below 2000 levels by 2020, and by up to 15% by 2020 if there is a global agreement which falls short of securing atmospheric stabilisation at 450 ppm CO2-eq and under which major developing economies commit to substantially restrain emissions and advanced economies take on commitments comparable to Australia's.

Canada: -17% (base year 2005)

Canada will align his targets with the final economy-wide emissions target of the United States in enacted legislation.

Croatia: -5% (base year 1990)

Temporary target for Croatia. Upon the accession of Croatia to the European Union, the Croatian target shall be replaced by arrangement in line with and part of the European Union mitigation effort.

EU¹ and its Member States: -20%/30% (base year 1990)

As part of a global and comprehensive agreement for the period beyond 2012, the EU reiterates its conditional offer to move to a 30% reduction by 2020 compared to 1990 levels, provided that other developed countries commit themselves to comparable emission reductions and that developing countries contribute adequately according to their responsibilities and respective capabilities.

¹Belgium, Bulgaria, Czech Republic, Denmark, Germany, Estonia, Ireland, Greece, Spain, France, Italy, Cyprus, Latvia, Lithuania, Luxembourg, Hungary, Malta, Netherlands, Austria, Poland, Portugal, Romania, Slovenia, Slovakia, Finland, Sweden, United Kingdom) acting in common. Currently, not all EU Member States are Annex I Parties.

Japan: - 25% (base year 1990)

This is premised on the establishment of a fair and effective international framework in which all major economies participate and on agreement by those economies on ambitious targets.

Kazakhstan: -15% (base year 1992)

New Zealand: -10/20% (base year 1990)

New Zealand is prepared to take on a responsibility target for greenhouse gas emissions reductions of between 10 per cent and 20 per cent below 1990 levels by 2020, if there is a comprehensive global agreement. This means that: the global agreement sets the world on a pathway to limit temperature rise to not more than 2° C; developed countries make comparable efforts to those of New Zealand; advanced and major emitting developing countries take action fully commensurate with their respective capabilities; there is an effective set of rules for land use, land-use change and forestry (LULUCF); and there is full recourse to a broad and efficient international carbon market.

Norway: -30/40% (base year: 1990)

As part of a global and comprehensive agreement for the period beyond 2012 where major emitting Parties agree on emissions reductions in line with the 2 degrees Celsius target, Norway will move to a level of 40% reduction for 2020.

Russian Federation: -15/25* (base year 1990)

Level of reductions will depend on the conditions that an appropriate allowance for the Russian forests in the context of the contribution to the implementation of commitments to reduce anthropogenic emissions, and adoption of legally binding commitments to reduce anthropogenic emissions of greenhouse gases by all major emitters.

United States of America: -17% (base year 2005)

In the range of 17%, in conformity with anticipated U.S. energy and climate legislation, recognizing that the final target will be reported to the Secretariat in light of enacted legislation. The pathway set forth in pending legislation would entail a 30% reduction in 2025 and a 42% reduction in 2030, in line with the goal to reduce emissions 83% by 2050.


Veronica Caciagli
Climate Change Officer
British Consulate General Milan

lunedì 1 febbraio 2010

US submit mitigation targets

The US has formally submitted its 2020 mitigation targets to the UN, ahead of the January 31 deadline agreed in the Copenhagen Accord.

The US's 17% target on 2005 baseline, was officially declared as:

  • In the range of 17%, in conformity with anticipated U.S. energy and climate legislation, recognizing that the final target will be reportedto the Secretariat in light of enacted legislation.
  • The pathway set forth in pending legislation would entail a 30% reduction in 2025 and a 42% reduction in 2030, in line with the goal to reduce emissions 83% by 2050.

Todd Stern, the US Special Envoy on Climate Change said in a statement that

'The U.S. submission reflects President Obama's continued commitment to meeting the climate change and clean energy challenge through robust domestic and international action that will strengthen our economy, enhance our national security and protect our environment.'

The US used the submission of targets to also officially 'associate' itself with the Accord, and urged other countries to do the same so that its 'landmark provisions can be implemented'. Others have also urged association to the Accord, including India's Environment Minister who stated earlier this month that 'the main challenge is that an agreement by 29 countries needs to be converted into one by 194 countries.'

The EU submitted its target to the UN secretariat on January 28. Others are expected to come forward around January 31.

Related links

U.S. pledges 17 percent emissions reduction by 2020, Washington Post, 29 January

Obama sees the positives as US gives formal notice on greenhouse gases, The Guardian 29 January

http://www.actoncopenhagen.decc.gov.uk/

US submit mitigation targets

The US has formally submitted its 2020 mitigation targets to the UN, ahead of the January 31 deadline agreed in the Copenhagen Accord.

The US's 17% target on 2005 baseline, was officially declared as:

  • In the range of 17%, in conformity with anticipated U.S. energy and climate legislation, recognizing that the final target will be reportedto the Secretariat in light of enacted legislation.
  • The pathway set forth in pending legislation would entail a 30% reduction in 2025 and a 42% reduction in 2030, in line with the goal to reduce emissions 83% by 2050.

Todd Stern, the US Special Envoy on Climate Change said in a statement that:
'The U.S. submission reflects President Obama's continued commitment to meeting the climate change and clean energy challenge through robust domestic and international action that will strengthen our economy, enhance our national security and protect our environment.'

The US used the submission of targets to also officially 'associate' itself with the Accord, and urged other countries to do the same so that its 'landmark provisions can be implemented'. Others have also urged association to the Accord, including India's Environment Minister who stated earlier this month that 'the main challenge is that an agreement by 29 countries needs to be converted into one by 194 countries.'

The EU submitted its target to the UN secretariat on January 28. Others are expected to come forward around January 31.


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U.S. pledges 17 percent emissions reduction by 2020, Washington Post, 29 January


Obama sees the positives as US gives formal notice on greenhouse gases, The Guardian 29 January


http://www.actoncopenhagen.decc.gov.uk/